Giacomo Ferretti

Capitolo 34 – Giacomo Ferretti

Giunsi in tarda mattinata e mi recai subito al giornale locale, quello dell’intervista allo psichiatra. Avevo già chiamato il giorno precedente e preso contatti con l’autore dell’intervista. Si chiamava Giacomo Ferretti e si rivelò una persona molto affabile. Era un uomo di mezza età, con pochi capelli bianchi e baffi, alto e magro. Mi raccontò di quel periodo, furono giorni febbrili, confusi e angoscianti. La gente era terrorizzata, non usciva dalle case, nonostante Dabby Dan fosse in carcere, non si sentivano sicuri, a causa delle storie terrificanti alimentate dagli psicologi e dal pubblico ministero. Dicevano che Dabby Dan era capace anche di ipnotizzare le persone e ucciderle, così sarebbe potuto scappare dal carcere in pochi minuti. La città era desolata, perfino i criminali avevano paura di uscire dalle loro tane. Furono giorni interminabili. Il popolo si calmò solo quando fu costruito il carcere a 40 km sotto terra. Il suo racconto fu minuzioso, ricco di dettagli. Ma quando chiesi quali fossero le prove dei crimini che Dabby Dan aveva compiuto, fece spallette.
«Nessuno lo sa! Tutti sono a conoscenza che ha ucciso il figlio e tanti altri bambini, ma come, quando, dove e perché nessuno lo sa. Gli atti sono secretati a causa della sua crudeltà!».
«Sai Giacomo… ho avuto modo di conoscere Dabby Dan…» dissi, «…ma proprio non sono riuscito a trovare niente del profilo fatto dallo psichiatra che tu hai intervistato!».
Giacomo fece un sorriso amaro!
«Gustavo!» disse con tono dispiaciuto, «…eravamo tutti presi dalla paura e dai fatti che molte cose non le abbiamo viste, o non le abbiamo volute vedere. Ma con il senno di poi, a distanza di tempo, posso dire che la mia opinione è che lo psichiatra il dottor Battilemani…» si fermò un attimo, fece un sospiro e poi continuò, «…credo che lo psichiatra non abbia mai incontrato Dabby Dan!».
«E come a fatto la diagnosi?» trasalii.
«Semplice, o gliel’hanno suggerita, o se l’è inventata!».
Restai in silenzio per qualche secondo. Poi gli chiesi se riteneva che Dabby Dan fosse colpevole.
Giacomo mi guardò serio e poi disse risoluto:
«O è innocente, o se proprio ha commesso un omicidio è solo quello del figlio, ma per errore o perché incapace di intendere e di volere, ma il mostro che hanno creato… quello proprio no!».
«Ma come si può condannare un innocente e costruire una simile storia su di lui?» chiesi sconvolto.
Ma Giacomo alzò le spalle.
«Non lo so. Ma…» fece un’altra pausa, si morse le labbra.
«Forse non dovrei dirtelo, o forse è meglio che ti metta in guardia. Ad un certo punto anche a me venne il dubbio ed incomincia a fare ricerche, ma quando la cosa si venne a sapere il direttore del mio giornale mi ordinò di lasciar perdere o mi avrebbe licenziato, inoltre, negli stessi giorni mia moglie fu sospesa dal lavoro a tempo indeterminato con l’accusa di aver rubato dei soldi, cosa assolutamente non vera. Una sera squillò il telefono e una voce disse che se io avessi smesso di indagare l’accusa a mia moglie sarebbe stata archiviata. E così fu! Ma è lì, nella scrivania del datore di lavoro di mia moglie, pronta a ripartire in qualunque momento!».
«Questo dimostra che per montare una simile storia dietro ci devono essere persone potenti… e disoneste!».
«Uno dei giornalisti che ha contribuito a rendere Dabby Dan un mostro è stato Roberto Di Miola, un giornalista disposto a tutto per la carriera e le opinioni politiche! Un viscido… lui probabilmente sa molto… ma non ti direbbe niente! Il suo giornale “Il Giornalaccio” è stato quello che ha creato il mostro!».
Ringraziai Giacomo e gli strinsi forte la mano per l’aiuto che mia aveva dato. Gli avevo già dato le spalle quando mi ricordai improvvisamente di una cosa.
«Per caso sai che cosa è il Caso 2514?»
Giacomo mi guardò con aria interrogativa.
«È l’ultima cosa che mi ha detto Dabby Dan quando l’ho incontrato!» dissi.
«Mai sentito di questa cosa!» disse ignaro.

 

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