Ritorno al Prosperitano

Capitolo 4 – Ritorno al Prosperitano

Era ormai buio quando giunse al Prosperitano. E per la prima volta nella sua vita era contenta di avervi fatto ritorno. Bussò al citofono, ma ninente. Ribussò. E bussò ancora, ma nessuno rispondeva. Incominciò a bussare insistentemente. Poi una voce.
«Vattene mostro!»
Aveva sentito bene? Le era parsa la voce di suor Cetaceo.
«Suora! Sono Pamela!»
«E che vuoi pezzente!»
Sì, era proprio suor Cetaceo, l’epiteto più usato per appellare le bambine. Come mai era già tornata? E perché era tornata senza aspettarla?
«Entrare!»
«Chi c’è con te?»
«Nessuno!»
«Non ci credo, tu stai con il mostro, ti sta usando per entrare e mangiarsi tutti noi!»
«Ma non è vero, sono sola, e fa freddo. È buio ed ho paura!»
«No, no, qui non entri!»
Pamela incominciò a piangere.
«Suora la prego, mi faccia entrare, la supplico, ho paura!»
«Vattene. Buttati nel fiume, così muori di morte naturale, sempre meglio che essere divorata dal mostro!»
Poi il silenzio. Pamela riprovò a suonare ma sentì il fischio metallico di quando il citofono è staccato. Si accovacciò per terra. Era spaventata, inoltre pensava alla piccola Betta che era rimasta con le suore. Per Betta lei era come una sorella maggiore e la notte non si addormentava se Pamela non le raccontava una storia. Stava vivendo un incubo, non sapeva che cosa fare, dove andare. Ma lei non aveva paura di questo fantomatico mostro spaventoso, aveva paura di trascorrere la notte al freddo e al buio. Ogni tanto stringeva gli occhi si faceva coraggio dicendosi che era solo un incubo, che a breve si sarebbe svegliata, ma quando riapriva gli occhi era sempre lì, accovacciata davanti al cancello del Prosperitano. Poi si rialzò in piedi. I ricordi volarono a quando era piccola. Viveva con la nonna, una nonna che si lamentava sempre del fatto che non poteva prendersi cura di lei, che aveva i suoi impegni, che lei era un peso. Un giorno, quella nonna, l’accompagnò in un luogo sconosciuto; era un vecchio edificio grigio e cupo. Una volta entrati si accomodarono su delle sedie in uno stanzino angusto e buio. Attesero a lungo fino a quando non si avvicinò una donna che prese Pamela per mano in modo brusco, la ragazzina la guardò perplessa. La nonna disse poche parole.
«Mi raccomando, gli accordi sono chiari, io la vedo una volta al mese. Non di più!».
Non rivolse uno sguardo né una parola a Pamela. Una volta andata via con la donna Pamela non vide più sua nonna ed ormai erano trascorsi otto anni. La donna era un’assistente sociale e Pamela si ritrovò nel primo orfanotrofio della sua vita; dopo di quello ce ne furono altri, tanti altri. Poi un giorno approdò al più brutto di tutti: il Prosperitano e da lì non se ne andò più. I primi orfanotrofi erano cupi, freddi, rigidi, ma il Prosperitano era di gran lunga il peggiore, era terrore puro. I primi mesi trascorsi lì furono all’insegna di pianti e botte. Un giorno, mentre era rinchiusa in cantina per punizione, invocò mille volte la nonna o qualcuno che l’aiutasse, ma restò lì tre giorni, e nessuno corse in suo aiuto, così giurò a se stessa che se la sarebbe cavata sempre da sola, e per tutto il resto della sua vita non avrebbe mai più chiesto aiuto a nessuno. Memore di quel giuramento si alzò e decise che non si sarebbe arresa. Si guardò attorno, poi decise di muoversi verso la città, se la sarebbe cavata da sola, anche contro il mostro. Avrebbe mangiato qualcosa in qualche negozio aperto e dormito in qualche luogo appartato e sicuro. L’indomani avrebbe fatto i conti con il Prosperitano. Avrebbe preso un sacco di botte, ma a suor Cetaceo un calcio negli stinchi non glielo avrebbe tolto nessuno.

 

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