Capitolo 3 – La città deserta
Pamela era ancora nel suo mondo immaginario fatto di castelli, musica e principesse; ora stava ballando con un principe dal vestito rosso e dorato. Ballavano al centro della sala, tutti gli invitati li guardavano e li ammiravano. Le donne salutavano con un fazzoletto bianco ricamato, gli uomini con un inchino. Ad un tratto intravide fra gli invitati una figura conosciuta, ma che le incuteva fastidio, poi quella figura si fece più nitida, era suor Cetaceo. La ragazza trasalì, si ricordò di colpo che non era al ballo ma a far spesse con la suora. Quanto tempo era trascorso? Aveva perso completamente la cognizione del tempo. La suora si sarebbe arrabbiata e sicuramente l’avrebbe picchiata. Corse a cercarla ma con grande stupore si accorse di essere sola. Nel supermercato non c’era nessuno. Le incominciò a battere il cuore all’impazzata. Iniziò a correre verso l’uscita, correva come una gazzella inseguita da un leone. Pensò di essere rimasta lì oltre l’orario di chiusura. Possibile che si fosse attardata, persa nei suoi sogni, per così tanto tempo? Uscendo si accorse che alle casse c’erano i carrelli pieni, come se fossero stati lasciati all’improvviso. Pamela si fermò di colpo: alcune casse erano aperte con ancora dentro i soldi. Ma che stava succedendo? Sicuramente qualcosa di brutto. Corse a perdifiato tra i negozi della galleria del centro commerciale, tutti vuoti, tutti abbandonati. Le mancava il fiato, non riusciva a respirare, nemmeno negli incubi più spaventosi aveva mai provato tanta paura. L’uscita, doveva riuscire ad arrivare all’uscita, una volta fuori avrebbe potuto respirare a pieni polmoni. Ma quando uscì dal centro commerciale e si ritrovò in strada la sorpresa e lo sbigottimento furono ancora più grandi: non c’era nessuno. Regnava il caos, un caos di oggetti sparpagliati, lasciati in strada, sui marciapiedi, incustoditi, disordine di oggetti dappertutto, un caos immobile, ma non c’era anima viva, non una persona in tutta la città. Pamela vagò per un po’ camminando a grandi falcate sperando di trovare qualcuno che le potesse dire cosa era accaduto. Poi si accorse di una cosa: tutte le case sopra ai negozi, erano chiuse, le tapparelle abbassate. Notò poi che alcune finestre ancora aperte venivano chiuse in fretta e furia, come se avessero paura di qualcosa, ma di che cosa? Era come un domino: tutte le finestre si chiudevano una dopo l’altra facendo scendere le tapparelle. Se non fosse stata spaventata si sarebbe potuta anche divertire alla vista di quello spettacolo. In meno di dieci minuti tutte le finestre furono chiuse. Era sola in mezzo alla città. Decise di tornare quanto prima al Prosperitano. Le suore si sarebbero arrabbiate perché non era tornata con suor Cetaceo, ma meglio le botte che restare sola in mezzo ad una città deserta, e poi alle botte delle suore era abituata, così come era abituata a sentirsi sola quando si trovava nell’orfanotrofio, ma non era abituata a ritrovarsi da sola in una città deserta. Fu scossa da brividi e lo sgomento si impossessò di lei. Accelerò il passo, pensò che non era il caso di correre perché si sarebbe stancata. Stava attraversando un incrocio quando finalmente vide qualcuno. Ne fu sollevata e si avvicinò per chiedere cosa fosse successo. Era un ragazzo della sua età. Pamela non era abituata a confrontarsi con coetanei maschi, fu colta da imbarazzo e stava per fare marcia indietro, ma lui se ne accorse e la chiamò.
«Hey che fai?»
«Ma che è successo? Dove sono finiti tutti?»
«Non hai sentito? Un mostro è scappato dal carcere e tutti hanno avuto paura!»
«Un mostro?»
«Sì, dice che si mangia i bambini!»
«Ma quanto sei scemo!»
Disse Pamela infastidita.
«Ma guarda che è vero, l’ha detto uno alla televisione!»
Pamela si girò e se ne andò.
«Fai come vuoi, se fossi in te correrei subito a casa!»
Era furiosa, in città erano scomparsi tutti e l’unico rimasto le raccontava assurde per farle paura. E se fosse stato vero? D’altronde erano scappati tutti. Ma no, non era vero, non doveva dar peso alle stupidaggini di quel ragazzo, era chiaro che fosse più stupido di un cetriolo.