Capitolo 39 – Caso 2514
Passai a prenderli al sorgere del sole, era ancora buio. Camminammo a piedi costeggiando il fiume; passammo vicino alla scuola primaria di Camillo dove ci incontrammo la prima volta. Attraversammo il ponte sul fiume che portava dall’altra parte della città dove c’era il tribunale. Giungemmo ad un incrocio con semaforo, aspettammo il verde e attraversammo. Giungemmo in una piazza dove c’era un raduno di auto d’epoca, era presto e ci fermammo ad osservarle. Camillo mi fece notare le targhe, erano diverse da quelle attuali. Spiegai che prima sulle targhe veniva messa la sigla della provincia di provenienza e il numero. Camillo si soffermò ad osservare la targa di un’auto in particolare: MI T012879, gli spiegai che MI stava per Milano.
«Il proprietario si può vantare di essere un MITO!»
Ridemmo tutti.
Poi nella testa di Camillo incominciò a frullare un pensiero.
“MI T012879, MIT0 12879, Caso 2514, Cas 02514, CA S 02514, CA S 02514”.
Incominciò ad urlare come un forsennato.
«GUSTAVO, GUSTAVO! C’era una targa che incominciava per CA?»
«CA stava per Cagliari!» risposi senza capire.
«Cagliari, esse, zero, duemilacinquecentoquattordici!»
«Cagliari, esse, zero, duemilacinquecentoquattordici?» ripetei meccanicamente.
Poi un flash, un lampo, un big bang attraversò i miei pensieri.
«Per la penna di Enzo Biagi! Certo, potrebbe essere… potrebbe essere l’auto che ha rapito Michelino, forse Dabby Dan ha visto qualcuno caricare Michelino sull’auto il giorno che è scomparso! Corriamo in tribunale, dobbiamo controllare!».
«Grande Camillo!» disse Pamela con un sorriso che gli arrivava alle orecchie, facendo sentire il ragazzo più fiero di quanto non lo fosse stato in tutta la sua vita.
Quando giungemmo al Tribunale Carlotta e Giacomo erano già lì e quando raccontammo loro la nostra scoperta anche loro restarono sconcertati. Carlotta chiamò il suo amico delle forze dell’ordine e dopo dieci minuti avevamo il proprietario dell’auto: Nino Petrella, il proprietario della casa famiglia.
Arrivarono cinque auto tra Polizia e Carabinieri. Fu perquisita la casa famiglia e tutti gli atti. Michelino era lì, da cinque anni il bambino, viveva nella casa famiglia di Nino Petrella, il comune pagava la retta mensile, il tutto con la complicità del giudice minorile Nello Somaro e dell’assistente sociale Mariantonietta Bucci.
Furono arrestati tutti. Il politico, Ranzinelli fu solo indagato per favoreggiamento.
Nino Petrella confessò. Aveva rapito Michelino per farlo credere morto e farlo adottare da Mattia Ranzinelli, dietro lauto compenso, ma il politico si tirò indietro perché tutta la storia cominciava a scottare troppo, così fu deciso di tenere il bambino nella casa famiglia e prendersi i soldi del comune di residenza del bambino attraverso documenti falsi. Durante il periodo della fuga di Dabby Dan lo inseguiva perché avrebbe voluto ucciderlo, ma era un pusillanime e quando Dabby Dan lo vedeva scappava. Avevamo visto bene, Dabbeo era stato testimone oculare del rapimento del nipotino.
Dabby Dan fu scarcerato. Tornò a casa dalla madre, anche Michelino tornò a casa. Sua mamma appena seppe che era vivo, abbandonò il compagno -quell’ebete del compagno- e tornò dal Messico per restare per sempre con lui.
Il giorno dopo la scarcerazione di Dabby Dan i ragazzi lo andarono a salutare. Lo abbracciarono a lungo. Era visibilmente provato, ma era abbastanza sereno. Trascorsero tutto il giorno insieme, mangiarono con lui, la mamma, la sorella e Michelino.
E vissero felici e contenti.
No, purtroppo no.
Tutto sarebbe potuto andare per il meglio, ma viviamo nel paese dei paradossi, e nel paese dei paradossi niente va mai per il verso giusto. Del macabro imbroglio perpetrato ai danni di Dabby Dan televisioni e giornali ne parlarono solo per qualche giorno, perfino il mio capo, quando si accorse che non interessava a più a nessuno smise di trasmettere i servizi. I colpevoli furono subito scarcerati, andarono agli arresti domiciliari, il giudice ebbe solo una sospensione di due mesi, poi riprese il suo viscido, concusso, malversato lavoro di giudice minorile. La casa famiglia non fu chiusa, e Nello Peretella fu condannato con la condizionale, ma era incensurato e tornò a dirigere la sua “bella” casa famiglia. E insieme ai giudici minorili e gli assistenti sociali avrebbero continuato a sottrarre bambini dai genitori per chiuderli in orribili strutture per arricchire i faccendieri e disonesti.
L’unica a pagare fu l’assistente sociale, fu licenziata, ma immediatamente assunta come educatrice presso la casa famiglia di Peretella, non è difficile immaginare quanto odio avrebbe scaricato sui bambini.
Ma il peggio doveva ancora arrivare. Fino a quando Dabby Dan era considerato il più temuto dei mostri, le persone comuni, il popolo, non aveva mai osato dire una sola parola contro di lui, ne avevano talmente paura da non volerlo nemmeno nominare. Ma ora che Dabby Dan non era più un mostro, soprattutto non era più temuto, una parte del popolo gli si rivoltò contro, diventò bersaglio delle più profonde ipocrisie. Bersaglio di atti meschini e biechi, senza alcun motivo, senza che niente potesse giustificare una tale condotta. Ogni mattina comparivano sul muro della loro casa ignobili scritte accusatorie. Non gli era concesso di uscire di casa, se lo faceva veniva guardato con disgusto, gli venivano rivolti sguardi accusatori e insulti. Gli dicevano che avrebbe fatto bene a starsene rintanato in casa; fino a perpetrare comportamenti violenti, come spintoni o sgambetti. La sua vita era piombata di nuovo in un incubo, un tunnel di sofferenza dal quale sembrava impossibile uscire. Inoltre venne denunciato dai proprietari del Luna Park, perché durante la chiusura forzata del Luna Park aveva effettuato la manutenzione e la cura delle giostre, ma lo aveva fatto senza un contratto e ora volevano un risarcimento danni, quali danni, nessuno lo sapeva.
E i nostri amici? Appena scarcerato Dabby Dan partì una segnalazione ai servizi sociali e il tribunale dei minori. Durante la notte la polizia e l’assistente sociale, questa volta un uomo, bussarono alla casa della madre di Betta, qualcuno aveva fatto la spia. Le ragazze e Camillo furono prelevati con forza, la madre arrestata per rapimento di minori. Pamela e Betta furono segregate in due orfanotrofi, ma separatamente, il nuovo giudice disse che non erano sorelle e che non vedeva la necessità di rinchiuderle nella stessa comunità. Camillo fu riaffidato al padre che come prima accoglienza gli riservò una raffica di percosse perché a causa delle sue dichiarazioni avevano perso i soldi della ricompensa.
Il peggiore dei finali che ci si potesse aspettare, un finale all’italiana, come nella migliore tradizione di questo paese ridicolo.
Ero disgustato, ero avvilito, tutto quello per cui avevamo lottato non era servito a niente. Cercai più volte di parlare con il mio direttore riguardo l’importanza di non far terminare la storia in quel modo. All’inizio mi invitò a smetterla. Poi quando cercavo di parlargli si faceva negare, alla fine, come mi aspettavo, mi licenziò e tornai ad essere un freelance, ma questa volta senza un’azienda alle spalle, insomma ero un disoccupato qualsiasi.
Passavo le giornate al telefono con amici, conoscenti, avvocati, giornalisti cercando invano una soluzione per i ragazzi, ma poi una sera, all’improvviso, il telegiornale diede una notizia.
Dabby Dan e Sara Perlari rapiscono i ragazzi che lo avevano aiutato. Scomparsi nel nulla. Che fine avranno fatto? Li avranno uccisi?
Di nuovo, si ricominciò a parlare del mostro, “Il Giornalaccio” ci andò a nozze e pubblicò una sfilza di articoli che infangavano Dabby Dan. Mi chiamò il vecchio direttore e mi chiese se fossi rimasto in contatto con i ragazzi, gli dissi di sì, ma che avrei venduto le interviste ad un altro giornale; una bella vendetta, falsa ma bella: non avevo la più pallida idea di dove fossero i ragazzi e Dabby Dan.
Cosa accadde lo seppi tempo dopo, quando mi giunse una lettera dalla Francia, era dei ragazzi. E mi raccontarono la loro fuga. Camillo aveva ripreso la sua vita notturna, ma una sera prima di uscire trafugò dal portafoglio del padre un po’ di banconote. Aveva ideato un piano per liberare le ragazze ma aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse e i soldi gli servirono proprio a questo scopo. Trovò un amico che dietro ricompensa lo avrebbe aiutato, ma una volta liberate quell’amico non volle un centesimo. Camillo gli strinse forte le mani e gli vennero le lacrime agli occhi, ma Lupin, Insomma, gli disse che aveva un favore da rendergli. Andarono a casa di Dabby Dan dove li attendeva la madre di Betta, partirono con un’auto a noleggio nella notte. Come clandestini, prima in Francia, poi in Spagna… poi si persero le loro tracce.