Capitolo 13 – Il Luna Park
Si trovarono davanti ad un Luna Park itinerante, in funzione. Le luci accese formavano un caleidoscopio di colori che scintillavano nel cielo ormai quasi buio. Ma il Luna Park era completamente vuoto, non c’era nessuno. Pamela era al settimo cielo. Non c’era il bigliettaio ed entrarono senza pagare. La ragazzina sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Si guardava intorno imbambolata. Camillo cercò di fare l’adulto dicendo che erano giochi da bambini piccoli, ma Pamela manco lo ascoltava.
«Ma non hai mai visto una giostra?» chiese lui con spocchia.
Ma il fievole “no” di Pamela lo zittì. La vita della sua compagna di viaggio non doveva essere stata per niente facile se non aveva mai visto le giostre. Era la giostra dei cavalli ad attirare maggiormente lo sguardo della fanciulla, così Camillo, per rimediare all’antipatia mostrata poco prima, la invitò a salire. Pamela quasi non credeva alle sue orecchie: davvero ci si poteva salire sopra? Non se lo fece ripetere due volte e senza mostrare la benché minima paura per la giostra in movimento balzò su un cavallo bianco ed incominciò a cavalcarlo con i suoi lunghi capelli color rame che mossi dal vento sembravano fiamme incandescenti. Aveva gli occhi lucidi che facevano a botte con il sorriso della bocca. Era la prima volta che Camillo la vedeva sorridere in quel modo, era spensierata, distratta, felice. E fu in quel preciso istante che comprese di essersi innamorato, se fu in quello stesso istante che sperò che Dabby Dan non venisse mai arrestato e che la gente restasse per sempre chiusa nelle proprie case. Non aveva mai avuto una ragazza, e neanche pensava di piacergli alle ragazze; un po’ a causa del suo fisico un po’ rotondetto, un po’ perché pensava di essere poco attraente. Era alto per la sua età, ma era comunque molto in carne e i ragazzi lo prendevano in giro. Le ragazze invece non lo prendevano mai in giro, anzi, risultava loro molto simpatico e alcune lo sceglievano come amico. E lui si era così abituato a fare l’amico che non pretendeva mai niente di più, ma forse a quattordici anni non si poteva pretendere di più.
Mentre Pamela girava, Camillo notò un signore che stava aggiustando una delle giostre. Diede un’occhiata a Pamela che stava dondolando felice e si mosse verso l’uomo.
Stava armeggiando intorno ad una locomotiva. Poco distante c’erano anche le carrozze, ognuna di esse era piccola con quattro posti a sedere, aperta ai lati.
«Tu non sei scappato come tutti gli altri?»
L’uomo restò impassibile, fece un leggero diniego mentre continuava a lavorare.
«Non hai sentito del mostro?»
L’uomo fece ancora segno di no con il capo, mentre continuava ad aggiustare.
«Allora stai attento, dicono che mangia i bambini!»
L’uomo non rispose.
«Sei il custode?»
L’uomo fece di sì con il capo.
«Wow, il tuo sì che è un bel lavoro. Vorrei poterlo fare io. Anzi no, vorrei fare il collaudatore di giostre!»
L’uomo lo guardò perplesso con lo sguardo interrogativo.
«Beh… quando si costruiscono le giostre non c’è qualcuno che le prova per dire se sono divertenti? Come fanno a sapere se una giostra piace o no?» chiese il ragazzo.
L’uomo era alto poco più di un bambino, grassottello, con una criniera elettrizzata sulla testa. Vestiva in maniera trasandata, sembrava fosse andato a dormire con i vestiti.
Pamela si avvicinò in silenzio.
«Vado a mangiare, ho fame. Chi fame ha, viene a mangiare con me!»
I due ragazzi si guardarono.
«Camillo ci possiamo fidare?»
Camillo alzò le spalle. Poi lo seguirono.