Capitolo 31 – La nonna
Pamela continuava a non capire e quando restarono soli chiese spiegazioni a Camillo. Il ragazzo le spiegò che i soldati non avevano capito che loro erano amici di Dabby Dan, ma anzi, pensavano che fossero stati loro a consegnare il mostro ai soldati. Gustavo poi ci aveva costruito una storia inventata ad hoc per fare un articolo.
Pamela restò in silenzio.
«Camillo come abbiamo fatto a dormire con il mostro e non accorgercene?».
«Era molto bravo a fingere! Sembrava una brava persona!» rispose Betta al posto di Camillo che non fece altro che annuire.
I soldati disposero che i ragazzi fossero accompagnati nel miglior Hotel della città. Intanto le strade si stavano ripopolando, molti avevano ripreso le loro attività, altri invece non si erano ancora ripresi dallo spavento e si muovevano ancora guardinghi. Nel frattempo aveva ricominciato a piovere. Il cielo era nero. I soldati avevano fatto in modo di fargli recapitare borse piene di vestiti nuovi. Dopo essersi lavati, vestiti, si incontrarono nella hall dell’hotel, poi si andarono a sedere fuori, sotto una veranda. Faceva freddo, presero una cioccolata calda e restarono per un po’ a guardare la pioggia che scendeva copiosa. Nessuno aveva voglia di parlare. Erano tristi e malinconici e allo stesso tempo ansiosi. Cosa sarebbe stato di loro adesso? Pamela e Betta avevano paura di ritornare al Prosperitano. Camillo non voleva lasciare le ragazze.
Mentre erano sedute lì ad un tratto sentirono una voce femminile al quanto fastidiosa.
«Pamela… tesoruccio!»
Pamela saltò sulla sedia pensando fosse suor Cetaceo. Ma non era lei, era una signora anziana. Quando si avvicinò le sorrise con freddezza.
«Pameluccia, nipotina mia, cosa ti è successo? Piccola della nonna!».
Pamela sgranò gli occhi.
«Nonna?» domandò. Non si ricordava di lei o almeno il ricordo che aveva non corrispondeva alla donna che aveva davanti. Una signora elegante, piena di gioielli. Si muoveva e si esprimeva in modo elegante ma severo e altezzoso.
«Piccola mia, sono tua nonna, la tua adorata nonna, che cosa ti ha fatto quel mostro di suor Cetaceo? Ma non ti ha dato tutte le lettere che ti scrivevo? Non ti ha detto che non potevo venire perché ero tanto malata? Ma ora sto bene e ti porto subito via con me. Va’ prendi le tue cose e partiamo subito. Dai sbrigati che non ho tempo. E poi dobbiamo sbrigare la faccenda della ricompensa!»
«Ma nonna… i miei amici…!»
«Ma che sciocchezze, gli amici ti voltano le spalle non appena ti giri. Sono le nonne che non ti abbandonano mai!».
«Ma Gustavo? Non è ancora tornato…» Pamela cercava di prendere tempo. Era disorientata, non voleva abbandonare gli amici, almeno non così subito. Da un lato era contenta di non tornare al Prosperitano, ma dall’altra quella donna per lei era una perfetta sconosciuta.
«E Betta? Lei è una sorella per me, voglio che venga a stare con me!» chiese prendendo la mano alla sorellina.
La donna perse totalmente la pazienza.
«Ora basta, mica faccio la baby-sitter! Mi hai stufata. Vuoi che me ne vada? Ma sappi che tornerai dalla tua cara suora, e sarà peggio, perché saprà che hai raccontato al mondo intero come ti ha trattata… la tua vita sarà un inferno. Alza i tacchi e muoviti!».
Camillo e Betta erano rimasti in silenzio, pietrificati. Betta incominciò a piangere a singhiozzo. La donna, la nonna di Pamela, le mise una mano sul viso come per accarezzarla.
«Non piangere piccola! Così è la vita. Si nasce, si muore. Sii forte, ti gioverà questa sofferenza, da grande sarai più forte. Sei troppo fragile, è un bene per te stare al Prosperitano!» poi la mano scivolò su per il viso e le afferrò i capelli e incominciò a tirare forte, sempre più forte!
«Non piangere, ti ho detto non piangere non voglio sentirti!» diceva mentre tirava sempre più.
Betta smise di singhiozzare e pianse in silenzio.
Camillo sobbalzò dalla sedia e la spinse via con forza che la donna quasi cadeva.
«LA LASCI STAREEEE!» urlò con quanto fiato aveva in gola.
Poi, in preda alla rabbia continuò ad urlare fino a far accorrere i soldati.
«Lei ha abbandonato sua nipote in un orfanotrofio tanti anni fa senza farsi mai sentire, senza andare mai a trovarla, e ora di punto in bianco torna, dà ordini, ci prende a botte!» continuava ad urlare Camillo.
La donna stava per avere una reazione violenta, ma si morse la lingua per restare calma davanti ai soldati.
«Mi ha tirato i capelli senza motivo!» rispose Betta ricominciando a piangere.
«No… sono stata fraintesa… ma quando mai, io l’ho accarezzata!».
«Signora se ne vada, chi l’ha fatta entrare?»
«Ma io sono la…».
«SE NE VADA!» urlò il soldato senza lasciarla continuare.
La donna si allontanò imprecando!
«Vi farò vedere io, me la pagherete uno per uno!» disse con gli occhi iniettati di sangue.
Pamela era confusa, era in catalessi.
«Come stai?» le chiese Camillo.
«Non lo so… è mia nonna, sai per quanti anni l’ho aspettata? Sai quante notti ho trascorso a piangere? A sognare che da un momento all’altro venisse al Prosperitano e mi portasse via di là? E ora perché non mi ha provocato felicità rivederla?»
«Pamela… lei è qui per i soldi!»
«Sì Camillo… ma è sempre mia nonna e io le voglio bene… almeno penso di avergliene voluto! Forse non era il caso di urlare con lei!» replicò Pamela con astio.
«Pamela… pensi che con lei saresti più felice?» chiese Betta.
«Non lo so, di certo non sarò felice al Prosperitano! Non lo so davvero che cosa sarà di me, sicuro non finirò bene!» urlò Pamela sempre più nervosa.
«Beh… almeno tu hai la possibilità di scegliere, io no! Dovrò tornare al Prosperitano!» disse Betta che si alzò e andò via.
Pamela si pentì di aver alzato la voce, e voltò la testa per chiamarla ma Betta era già lontana. Quando rigirò la testa si accorse che anche Camillo se ne stava andando.
«Hey… mi lasciate sola?» chiese la ragazza con tono di rimprovero, ma Camillo non la sentì, o fece finta di non sentirla.