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La Banda di Casapunessa ed il cane Grigio
II capitolo (vai al capitolo 1)
Benny era andato dal nonno per dirgli del cane, ma non l’aveva trovato così andò in paese per cercare Max e Rollo. Appena arrivato in centro incontrò Faffi. Una loro compagna di scuola. Nessuno in classe sopportava Faffi. La ragazza trascorreva la maggior parte del tempo da sola: la classe la ignorava e tutti la prendevano in giro, e lei dal canto suo restava chiusa nel suo silenzio.
«Senti, per caso, mica hai visto gli altri?» chiese Benny.
«Sì, li ho visti vicino alla chiesa!».
«Grazie scema!».
Faffi cominciò a rincorrerlo e sebbene Benny fosse ad una certa distanza, la piccola e agile ragazzina non ci mise molto a raggiungere il compagno. Benny non era il classico ragazzino impacciato, ma era cicciotello, mentre Faffi era veloce e scattante come un felino, capace di arrampicarsi dovunque: alberi, case, muri.
Quando ormai lo aveva raggiunto, sulla loro strada si pararono Max e Rollo.
«Che vuoi? Lascialo in pace!» urlò Rollo.
«Ha incominciato lui!» si difese faffi.
Nonostante Faffi fosse una ragazzina carina, era un vero maschiaccio e non passava giorno che non facesse a botte con qualche compagno, ma con le ragazzine aveva soggezione e quando Rollo la assalì si arrestò immediatamente.
«Sì, come no, ma vattene sugli alberi mezza scimmia!».
«Ma vattene tu e quello scemo!».
«Dai lasciala in pace!» disse Max, «Dobbiamo andare dal bottegaio.
«Ringrazia che abbiamo da fare, rospo!».
Faffi non rispose, si voltò e fece per andarsene, ma non appena i ragazzi girarono il vicolo si fermò a gironzolare. I ragazzi entrarono nella bottega del signor Pasquale, negozio per animali.
«Buongiorno, avete portato il latte?» chiese il sig. Pasquale.
«Latte? Ma se siamo quasi all’ora di pranzo!» rispose Rollo.
«Non ci fare caso, il signor Pasquale è un po’ tocco!» gli sussurrò Max nell’orecchio.
«No signor Bottegaio, siamo del servizio tubature guaste. Per caso avete qualche perdita?» disse Benny.
«Tubature? E quanti tubi vi servono?»
«Ma noi non vogliamo tubi!» disse Rollo.
«Come non volevate i tubi per il letto? Però ora che ci penso non ne ho di tubi, però potete chiedere al fruttivendolo di fronte, lui li avrà sicuramente!».
Benny e Rollo si voltarono per non far vedere che stavano ridendo a crepapelle. Max cercò di restare serio, ma anche a lui scappava da ridere.
«Signor Bottegaio, noi abbiamo un cane e vorremmo farlo mangiare… per questo siamo venuti qui da lei!».
«Volete far mangiare il cane? E io che c’entro? Mica lo posso allattare io? Non sono un cane!».
Rollo e Benny uscirono dal negozio e dovettero sedersi per terra, piegati in due dalle risate. Ridevano così forte che quasi non riuscivano a respirare.
Nascosta dietro un’auto parcheggiata, cercando di essere invisibile come sempre, c’era Faffi. Guardava Benny e Rollo con invidia; cosa avrebbe pagato per essere lì e ridere con loro. Ma ben sapeva, la piccola, che se solo si fosse avvicinata l’avrebbero cacciata in malo modo.
Nel frattempo Max riprovò a far capire al bottegaio il motivo della loro visita.
«Signor Bottegaio…!»
«Bottegaio? Avete visto un bottegaio? E dov’è che ci devo parlare?».
«Ma il bottegaio siete voi e mi dovete vendere cibo per cani!»
«Cani? Cani, mhm, cani, ma io non vendo cani, e nemmeno gatti, per caso vuoi un elefante?».
Max era disperato e non sapeva che pesci pigliare, allora decise di servirsi da solo. Si guardò intorno e dopo aver cercato un po’ riuscì a trovare delle scatolette di cibo per cani. Prese quattro confezioni e le poggiò sul bancone.
«Vede? Era questo che volevo!» disse Max raggiante.
«Oh grazie! Quanto le devo?» chiese il bottegaio.
«Oh nooo, ma non è lei che deve pagare, sono io che devo pagare lei!».
«Pagare? E perché mi vuole pagare?».
«Per il mangiare del cane!».
«Giovanotto… qui non si mangiano cani, mica siamo tailandesi? Mi dispiace… provi dal farmacista, forse avrà qualche polpetta di gatto!».
Max incominciò a battere la testa sul bancone. Nel frattempo erano rientrati Rollo e Benny. Max allargò le braccia in segno di resa. Rollo si fece indicare da Max lo scaffale dove erano poggiate le scatolette, guardò il prezzo e fatta una rapida moltiplicazione arrivarono alla soluzione.
«Quattro euro, lasciaglieli sul bancone!» disse Rollo.
Mentre uscivano, Benny si voltò verso il bottegaio.
«Comunque signor Bottegaio i tubi li abbiamo aggiustati, ora potete farvi la doccia!».
«Grazie, grazie, Buon Natale anche a voi!».
Quando furono fuori dal negozio i ragazzi notarono che poco distante, in disparte, c’era Faffi.
«Sparisci e non ci seguire, antipatica!» disse Rollo con arroganza.
Faffi non rispose, si voltò e fece finta di niente.
I tre si incontrarono con Gianna e Otto al rifugio. Quando videro Grigio lindo e ovattato, morbido come un peluche, Max, Rollo e Benny gli saltarono addosso e se lo abbracciarono come fosse un pupazzo di peluche, e quel monellaccio di Grigio non sembrò dispiacersene affatto. Si trastullava felice e contento, dando leccate a destra e manca e scodinzolando felice come il ranocchio ridiventato principe. Il pelo di Grigio non era riccio, ma molto mosso. Lavato, mostrava un colore Grigio quasi lucido e si riuscivano a vedere meglio quelle macchioline nere sparse di qua e di là, che lo rendevano un cane unico. Il musetto era leggermente schiacciato e le orecchie cadenti che si rizzavano non appena diventava guardingo.
Otto e Gianna avevano recuperato una vecchia coperta che sarebbe servita per farlo dormire al calduccio nella capanna sull’albero.
«Ragazzi! Perché non facciamo entrare Grigio nella nostra banda?» disse Max.
«Ma certo che Grigio fa parte della nostra banda!» rispose Otto.
«Ma io intendevo di fargli fare il rito di ingresso!»
«Ma è un cane! Come facciamo? Non parla!» esclamò Rollo.
«Basta che abbaia!» rispose Gianna.
Alla fine furono tutti concordi a celebrare il rito di ingresso per Grigio. Resero la capanna buia e al centro poggiarono una candela accesa. I nuovi membri dovevano sedersi dietro la candela, mentre i membri effettivi sedevano davanti. In realtà questa era la prima volta che celebravano il rito per un nuovo membro, perché loro erano i fondatori. Non fu impresa facile, Grigio non stava fermo e dovettero provare tre volte prima di riuscire a calmarlo. La terza volta si fermò, ma non appena Max incominciò a parlare si alzò ed incominciò a gironzolare in quei pochi metri della capanna. Alla fine Rollo andò a sedersi dietro e lo tenne fermo.
«Io delegato, momentaneamente, capo della Banda di Casapunessa, ti eleggo nuovo membro della banda!» proclamò Max solennemente.
«Gli altri membri sono d’accordo?».
«Sì, siamo d’accordo!» urlarono gli altri membri all’unisono.
«Grigio, benvenuto nella Banda di Casapunessa!».
Tutti applaudirono e Grigio abbaiò: fu il suo modo per dire che era contentissimo.
Era una delle caratteristiche più importanti della banda: non c’era un capo. Le decisioni venivano prese insieme. Solo durante gli eventi importanti uno di loro, a turno, diventava capo, ma solo per quell’evento. Se per caso un giorno avessero fatto una grande impresa e i giornali e le televisioni avessero voluto intervistarli, a turno, ognuno di loro avrebbe rilasciato dichiarazioni. Naturalmente fu deciso, per ovvie ragioni pratiche, che Grigio non avrebbe partecipato alla turnazione.
Terminato il rito d’ingresso i ragazzi si ributtarono nella campagna, allegri, giocosi e sereni. Il rifugio era stato costruito su un albero di ulivo molto grande sul quale ci si poteva arrampicare facilmente. Il tronco centrale si diramava in altri quattro rami robusti e sui quali fu posta una piattaforma di legno doppio, poi furono eretti le quattro pareti ed il tetto. Una finestrella ed una porta. Altri due rami più bassi venivano usati come scala per arrampicarsi. La costruzione fu realizzata dal nonno di Rollo, nonno Giosba, che da giovane faceva il falegname. I ragazzi lo aiutarono, ma la maggior parte del lavoro l’aveva fatto lui, anche perché la struttura doveva reggere il peso di tutti loro ed essere stabile sull’albero. Era grande quanto uno sgabuzzino, ma per i ragazzi era una reggia. Avevano anche provveduto a mettervi un mobile dove tenevano le provviste, alcuni utensili da lavoro e dei cuscini per sedersi. La campagna era di proprietà della famiglia di Benny. Potevano andarci quando volevano tranne quando pioveva, per il pericolo dei fulmini, ed il divieto assoluto di accendere il fuoco in qualunque periodo dell’anno. Candele comprese, ma per il rito d’ingresso di un nuovo membro fecero un’eccezione, sperando che non lo fosse venuto a sapere il padre di banny. La campagna era fitta di alberi di ulivo, che rendevano la capanna quasi invisibile, ci si doveva avvicinare a pochi passi per vederla. Giunta la sera chiusero Grigio nella capanna, posero una ciotola con del cibo, un’altra con dell’ acqua e lasciarono la finestra aperta per farlo respirare. Grigio non sembrò gradire molto, ma non perché la capanna non gli piacesse, ma perché non voleva separarsi dai suoi nuovi amici. I ragazzi lo abbracciarono e gli promisero che l’indomani mattina sarebbero arrivati molto presto.
Quella sera nessuno di loro resistette alla tentazione di raccontare l’accaduto a casa, soprattutto Max che non stava più nella pelle. La mamma storse il muso, il papà gli raccomandò di non farlo mangiare troppo. Ma nessuno dei due fece niente per infrangergli il sogno. Pensavano che presto si sarebbe stancato, e la mamma dal canto suo, fino a quando non le si chiedeva di portare il cane a casa, non aveva niente in contrario. In fondo era già troppo quello che Max e i suoi compagni di classe avevano dovuto affrontare a scuola il 12 febbraio, quando il loro maestro, Fabio aveva lasciato la scuola. La sensazione di abbandono che provarono fu immensa e dolorosa. Inoltre non avevano più avuto notizie del maestro e con il tempo incominciarono a dar credito ad una parte delle voci che la direttrice ed il maestro di scienze raccontavano sul loro conto. Ma quella storia era per la loro età troppo dolorosa, e smisero di parlarne, anche tra di loro.
Max si mise nel letto guardando il soffitto e sognando ad occhi aperti. Era molto magro e per questo era anche molto veloce nella corsa. Era più basso di Otto, ma siccome quest’ultimo era robusto, sembravano quasi uguali. La più bassa del gruppo era Rollo che era considerata la piccola della Banda. In classe, per sua fortuna, la più bassa era Faffi, e anche lei come Max era velocissima, ma quello che la rendeva davvero unica era l’agilità, sembrava un gatto nell’arrampicarsi su alberi e muri. Ma proprio lo stare spesso sugli alberi le valsero il nomignolo di “scimmia”.
Max era ansioso di addormentarsi, voleva che la notte trascorresse il più velocemente possibile, così che la mattina avrebbe potuto correre da Grigio, ma questa frenesia giocò l’effetto contrario perché ebbe difficoltà a prendere sonno.
Gianna restò a guardare il televisore, con in dosso il pigiama con il suo cantante preferito. La madre era in cucina intenta a lavare i piatti. Ad un tratto Gianna la sentì piangere ed andò verso la cucina nascondendosi dietro la porta e restò ad osservarla. La mamma se ne accorse e di scatto si asciugò le lacrime.
«Scusa Gianna ma stavo pensando ad una mia vecchia amica!».
«Mamma, guarda che so tutto!».
Sul volto della mamma comparve un’espressione preoccupata.
«Cosa Gianna, di cosa parli?»
«Che papà non è andato a lavorare a Bologna!».
«Ma che dici… e poi chi te le dice queste stupidaggini? Non dare retta a quello che dice la gente, sono solo pettegolezzi!».
«Mamma io la conosco a quell’infame con cui se ne è andato, ma se papà preferisce lei a noi, a me non importa, non lo voglio più come padre!».
La mamma negò dicendo che si sbagliava, Gianna si voltò e sbruffando e se ne tornò a guardare la tele.
«Guarda che so anche dove abitano!» urlò arrabbiata.
«Come lo sai?» chiese la madre uscendo dalla cucina e appoggiandosi con le spalle al muro del salotto.
«Con la banda l’abbiamo seguita a quella… e ho visto papà uscire da casa sua!».
«Già, la Banda di Casapunessa!» disse la donna sorridendo, «Gianna… mi hanno offerto un lavoro… credo che accetterò, altrimenti non so come andare avanti!».
«Se vuoi lascio la scuola e mi metto a lavorare anche io!».
«Non provare nemmeno a pensarla una cosa del genere… e poi con la testa rotta non potresti lavorare!»
«Ma io non ho la testa rotta!».
«Te la rompo io se lasci la scuola, e poi il mio stipendio sarà sufficiente, non vivremo da pascià, ma almeno tireremo avanti!».
Gianna sorrise mentre la mamma guardava i suoi folti capelli mossi che le cadevano sulle spalle a boccoli, mantenuti da un bel frontino ad evitare che le coprissero quelle rosee guanciotte tonde.
«Ma io mica voglio lasciare la scuola!» disse Gianna ironicamente, «Io ci vado contenta a scuola!».
La madre la raggiunse sul divano ed incominciarono a fare la lotta.
«Come no! Ci credo proprio che vai contenta a scuola!».
«Fino a quando c’era il maestro Fabio io ci andavo contenta a scuola!»
«Lo so piccola mia, quest’anno hai perso troppe persone care!».
Si abbracciarono forte per lungo tempo. Poi si guardarono negli occhi mentre la mamma la accarezzava il viso.
«Forse, però, a tuo fratello è meglio non dire niente!».
«Sì, è ancora piccolo!».
«Ti voglio un mondo di bene tesoro mio!».
Il mattino seguente ognuno cercò di il alzarsi il più in fretta possibile, così da arrivare per primo a dare il buongiorno a Grigio. Ma Grigio non c’era. Di lui nessuna traccia. Restarono qualche minuto in silenzio sul da farsi.
«Ma è logico che non si sarebbe stato tutta la notte chiuso nella capanna! Sarà andato in giro come tutti i cani!» disse Otto.
«Secondo me l’hanno rapito!» disse Rollo.
«Ma chi? E poi chi conosce il posto?» obiettò Max.
La Banda di Casapunessa era decisa a ritrovare il cane e si diressero verso il paese. Ma quale brutta sorpresa? Fatti pochi passi nel centro, proprio all’altezza della chiesa, videro Grigio a spasso con…
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