Capitolo 20 – Notte di Natale
Il custode entrò in una delle roulotte parcheggiate. L’interno era bellissimo ed accogliente e appena entrati i tre ragazzi spalancarono la bocca dalla sorpresa. Di fronte alla porta d’entrata c’era un comò antico, con alcuni oggetti etnici come soprammobili, sul lato sinistro c’era un piccolo cucinino, con un tavolo allestito da una bellissima tovaglia rossa a fiori. Intorno a due lati del tavolo c’era una cassapanca con la seduta di velluto blu imbottito. Poi due sedie, una per ogni lato scoperto, erano fissate al pavimento, anche esse imbottite con rivestimento blu. Alle finestre c’erano tendine rosa, poi altre due tende più spesse di colore bordeaux. Sul lato sinistro c’erano due letti a castello fissati alle pareti, tipo quelli dei vagoni letto nei treni. C’era un piccolo bagno. Il custode accese delle candele che posizionò al centro del tavolo. Aprì una credenza e tirò fuori una torta di mele che posizionò sul top del cucinino, e dei piattini. Spense le luci e accese le candele sul tavolo, poi andò verso la camera da letto e accese un alberello di Natale con luci colorate intermittenti.
«Natale, è bello festeggiare!» disse.
«Natale? Oggi è Natale?» urlarono i tre ragazzi all’unisono. Si precipitarono a porgersi gli auguri, l’uno con l’altro.
«Signor Custode, grazie, da quando ci sei tu, è tutto più bello!» disse Pamela abbracciandolo.
«Voi, quando ci siete è bello!» rispose lui restituendo un flebile abbraccio.
Tagliò la torta in tante fette, preparò dei piattini e poggiò tutto sul tavolo aggiungendo dello sciroppo di lampone da bere e dell’uva passa in una scodella. Si sedette con loro. La pioggia picchiettava leggermente sulla roulotte. Mangiarono due fette di torta di mele a testa; brindarono, bevvero e sorseggiarono lo sciroppo di lampone come fanno gli adulti con il vino. Restarono per un po’ in silenzio. I tre ragazzi si inginocchiarono sulla cassapanca guardando fuori dalla finestra. In lontananza si vedevano i carri armati e i soldati che transitavano davanti all’entrata. La pioggia formava degli enormi acquitrini sul piazzale del Luna Park, e le gocce di pioggia, precipitando, si andavano ad infrangere contro di essi, bucherellandoli, facendoli sembrare un colapasta, tanti piccoli puntini che svanivano subito lasciando il posto ad altri piccoli puntini che sparivano altrettanto velocemente lasciando il posto ai nuovi.
«È il più bel Natale che io abbia mai trascorso in vita mia!» esclamò Pamela.
«Anche per me!» fece eco Camillo.
«Noi non abbiamo mai festeggiato il Natale, figuriamoci; al Prosperitano Natale era andare a quella noiosa messa di mezzanotte e sentire la predica del prete e l’intervento delle suore!» continuò Pamela.
Betta annuì.
Il custode si avvicinò alla finestra e incominciò a guardare fuori insieme ai ragazzi, ma il suo sguardo si perdeva in lontananza, non era chiaro se fosse triste, arrabbiato o semplicemente pensieroso, aveva lo sguardo spento. Non uscirono dalla roulotte per tutta la mattinata. Restarono rintanati come se quello fosse il rifugio più sicuro al mondo. Pamela per la maggior parte del tempo se ne stette rannicchiata sulla cassapanca con una coperta avvolta sulle spalle. Betta esplorava la roulotte insieme a Camillo. Parlavano di tutto e di niente. Per pranzo mangiarono pasta con tonno che preparò Camillo. Aveva acceso i fornelli e aperto una piccola fessura della finestrella sulla cucina per far uscire il vapore senza dare nell’occhio. Su di lui c’era lo sguardo attento di Pamela che vigilava che non combinasse guai. Ma questa volta filò tutto liscio, anche perché il gas lo spense Pamela. Betta sparecchiò, Pamela lavò i piatti. Poi i ragazzi si misero a giocare a Scala quaranta con un mazzo di carte che avevano trovato nella roulotte. Il custode uscì sotto la pioggia.
«Camillo ma tu ne hai visti tanti di… uomini vestiti da donna?».
«Stai pensando al tizio… alla tizia… della stazione?»
Pamela annuì.
«Casa nostra era un viavai di donne e anche di travestiti a cui mio padre dava tutti i nostri soldi!».
«Sono cattive?»
«Credo di no, sono come tutte le donne che venivano a casa nostra, una di loro però era brava, sempre gentile con me. Mio padre si addormentava e loro se ne andavano. Martina, invece, restava un po’. Si preparava un caffè, me lo faceva bere anche a me, poi mangiavamo qualche dolce dalla credenza e mi chiedeva della mia vita. Ma era l’unica, le altre che frequentavano casa mi trattavano male, o non mi trattavano proprio!».
«Ma chi avete incontrato? Che cosa è un travestito?» chiese Betta. Pamela le spiegò con semplicità che si trattava di un uomo vestito da donna.
«Ah… un gay!» esclamò Betta con naturalezza.
Sorrisero, poi tacquero.