Errore pedagogico
Punire o far riflettere
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Negli ultimi anni sta prendendo piede la cattiva abitudine di molti insegnanti di sostituire il termine punizione con “andare a riflettere”.
Ma si tratta di una metodologia innovativa o è un errore pedagogico?
In realtà è un grave errore pedagogico, vediamo perché.
Un grave errore pedagogico che sta prendendo piede negli ultimi anni è la sostituzione della parola punizione con la parola riflettere.
L’insegnante non ti manda più in punizione ma ti manda a riflettere.
Ma quello che si vuol far passare come una grande rivoluzione pedagogica è invece una chiara falsificazione della realtà: si manda un bambino in punizione, ma gli si dice che non è una punizione. Uno spiacevole eufemismo, quasi si volesse sminuire la severità dell’insegnante: io ti punisco, ma in realtà non ti punisco, ti mando a riflettere.
Se date uno schiaffo ad un bambino, potrete anche dire che non gli avete mollato uno schiaffo, ma gli avete fatto una esortazione ad assumere comportamenti più conformi allo statuto dello studente, fatto sta che il bambino ha ricevuto uno schiaffo, e cambiargli il nome non gli procurerà meno dolore.
Una prigione è una prigione, e chiamarla Oasi per la riabilitazione sociale non riduce la pena ai carcerati.
E una multa chiamata sollecito ad una maggiore prudenza ed osservazione del codice stradale non riduce la rabbia per quei 100 € da pagare.
Uno schiaffo è uno schiaffo così come una punizione è una punizione e nessun triste eufemismo può cambiare il valore di quell’azione.
Ad una prima analisi l’idea di mandare il bambino a riflettere invece che punirlo potrebbe sembrare apprezzabile: non si utilizza la punizione come strumento di coercizione, ma come strumento riabilitativo. Cioè la punizione come mezzo per incoraggiare il bambino a riflettere sui propri comportamenti inopportuni. Ma basta un maggiore approfondimento per capire che non solo il concetto non è funzionale ma crea anche una grande confusione e cela anche un grave errore etico.
Ma procediamo per passi.
Incominciamo con la sostituzione della parola Punizione con la parola Riflettere:
Il bambino, soprattutto quello della scuola dell’infanzia e delle prime classi elementari, non comprende il significato della parola riflettere e, soprattutto, è molto difficile che sappia mettere effettivamente in pratica la riflessione.
In realtà il bambino non conosce nemmeno il significato della parola punizione, conosce l’azione della punizione. Cioè, sa che quando va in punizione (o in riflessione) è qualcosa di spiacevole che avviene dopo un comportamento che gli adulti ritengono negativo.
Questo vuol dire che anche cambiando la parola, al bambino non cambia niente, perché se doveva stare immobile per 5 minuti seduto su una sedia per punizione, ora starà seduto 5 minuti su una sedia per riflettere. Fatto sta che dovrà restare seduto su una sedia per cinque minuti e certo non gli allevierà minimamente la pena se voi lo mandate a riflettere invece di punirlo.
Insomma l’idea di un termine alternativo è solo un modo per gettare fumo negli occhi, un modo gentile per infliggere qualcosa di spiacevole.
Altro fattore molto grave è l’associazione che il bambino farà tra la parola e l’azione che ne consegue.
Mi spiego: se dico al bambino che lo mando in punizione, lui assocerà la parola punizione a quello che gli accadrà di lì a pochi secondi: un qualcosa di spiacevole e da quel momento in poi assocerà la parola punizione a qualcosa di spiacevole. Nel momento in cui la parola punizione viene sostituita con la parola riflettere, sarà quest’ultima ad essere associata a qualcosa di spiacevole. Da quel momento ogni volta che sentirà la parola riflettere, per altro bellissima, proverà un senso di negatività.
È importante quindi assegnare ad ogni azione il termine giusto per non creare confusione nella già complessa psiche del bambino.
In realtà si può dibattere se è giusto o no infliggere una punizione, si può discutere su quali siano le punizioni giuste e quelle da evitare, ma quando si parla di educazione gli eufemismi mettiamoli da parte.
Ma cosa insegniamo ad un bambino? A quel punto il bullo dirà che non sta prevaricando la vittima, ma la sta semplicemente incitando ad una crescita ed un rafforzamento psico-fisico per migliorarne l’inserimento sociale.
Infine è dobbiamo fare un excursus filosofico: l’unica cosa che nessuno potrà mai imporci è il pensiero. Nessun regime, nemmeno quello più totalitario, ha mai potuto imporre il pensiero agli individui. La libertà di pensiero è l’unica forma di libertà che abbiamo. Il giorno in cui si potrà gestire il pensiero delle persone la vita non avrà più senso. Anche se ordinare ad un bambino di andare a riflettere non può essere paragonato al controllo del pensiero, è comunque qualcosa che può essere considerato il primo passo verso questa pratica. Io pago una multa perché c’è una legge che mi impone di indossare la cintura di sicurezza, ma io potrei ritenere quella legge ingiusta perché lede la mia libertà: la vita è mia e ne faccio quello che voglio.
La legge può quindi impormi di indossare la cintura di sicurezza, ma non potrà mai impormi di non pensare che quella legge sia ingiusta.
Un bambino va in punizione perché tiene un comportamento che va contro le regole e non rispetta gli altri, ma non possiamo imporgli di pensare che il suo comportamento è sbagliato. Possiamo suggerirglielo, ma non imporglielo mandandolo a riflettere, gli diciamo che non può e basta, glielo spieghiamo, ma imporgli il pensiero sa di regime.
Ma quale potrebbe essere la soluzione ideale?
Come spesso accade, l’equilibrio sta a metà strada, se proprio riteniamo importante far riflettere il bambino la soluzione è più che semplice: Vai in punizione e rifletti su quello che hai fatto. In questo caso il bambino non farà confusione, punizione sarà la cosa brutta: stare seduto immobile su una sedia, mentre riflettere avrà il significato di cercare di comprendere il perché di quella punizione, ma state pur certi che nel 95% dei casi il bambino non rifletterà, ma aspetterà con ansia di ritornare a quello che stava facendo.
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