Togliere figli ai boss
Caro Presidente del Tribunale di Roma
Togliere figli ai boss
A Reggio Calabria un giudice ha deciso di togliere un ragazzo di 16 anni dalla famiglia, le motivazioni sarebbero molteplici: padre in carcere, fratelli che entrano ed escono dal carcere e, cosa più importante secondo il giudice, la madre non è in grado di allevarlo (divertente, forse non è in grado di dargli la pappa?). Il ragazzo è stato portato in una casa famiglia fuori dalla Calabria, questo per tenerlo lontano da quell’ambiente che lo stava portando inesorabilmente sulla cattiva strada.
In una trasmissione televisiva, interpellata sull’accaduto, il presidente del Tribunale dei minori di Roma, Melita Cavallo, ha sostenuto la tesi del giudice calabrese (per dovere di cronaca dobbiamo sottolineare che non abbiamo mai sentito il giudice Cavallo smentire un collega).
Di fondo l’idea di salvare un ragazzo da un futuro segnato è bellissima, ma per chi, a differenza dei giudici, le case famiglie non le ha viste in foto, questa idea ha lo stesso valore di gettare un salvagente di pietra ad una persona che sta annegando.
Analizziamo le motivazioni:
- Esiste in Italia una casa famiglia in grado di cambiare un ragazzo di 16 anni?
Ma i giudici hanno mai avuto a che fare con un ragazzo di 16 anni? Siamo molto vicini all’utopia. Ma se non ci riusciamo con i bulli.
- Cosa accadrà non appena il ragazzo avrà compiuto i 18 anni?
Ritornerà difilato in Calabria, dalla madre.
- Il ragazzo rinnegherà la madre e la sua famiglia? O rinnegherà il comportamento della madre e della famiglia?
NO. Anzi, la scelta di allontanarlo accrescerà in lui l’odio per le istituzioni, poiché si sentirà vittima di un’ingiustizia.
- È giusto imporre ad un ragazzo di 16 anni il pensiero di un giudice, cioè la decisione di un giudice su cosa è meglio per lui?
Noi riteniamo un giovane di 16 anni perseguibile per legge (in Italia si è impuniti fino a 14), lo riteniamo capace di intendere e di volere, gli permettiamo di guidare un’automobilina 50, e poi… decidiamo il suo futuro. È davvero nel potere di un giudice una cosa del genere? Possiamo fare il processo alle intenzioni e dire: diverrai un criminale quindi ti condanno a lasciare la tua famiglia?
Certo con la formula: lo faccio per te.
- Ma quali sono le prospettive che una casa famiglia, meglio ancora, le istituzioni italiane possono dare ad un ragazzo di 16 anni? Mi spiego: se quando arriva a 18 anni gli avrò insegnato un lavoro che gli piace, gli avrò trovato un lavoro molto ben retribuito e gli mostrerò che comportandosi bene otterrà diritti, premi, gratificazioni etc. etc., allora avrò buone possibilità di salvarlo. Ma questo corrisponde alla realtà?
La realtà: a 18 anni molto probabilmente sarà disoccupato, se sarà fortunato avrà un lavoro precario e poco retribuito, se vivrà al sud sarà un lavoro a nero, dovrà lasciare la casa famiglia perché è maggiorenne e lo stato non paga più la sua permanenza, avrà difficoltà a tirare avanti, non avrà parenti che lo sosterranno economicamente e soprattutto moralmente, scoprirà che in Italia è difficile avere diritti per chi non ha un potere politico-economico, che dovrà lottare contro la burocrazia, e tanto altro che non stiamo qui ad elencare.
Tutto questo sarà così allettante che rinuncerà per sempre alla vita che gli avrebbe potuto offrire la ‘ndrangheta: soldi, potere, ottenere tutto quello che vuole e che gli serve senza la benché minima possibilità, auto di grossa cilindrata, donne… e tanto altro.
Certo che rinuncerà a tutto questo, soprattutto se gli diciamo che finirà sicuramente in galera. Sicuro come la morte che preferirà fare il precario a vita.
Che ci piaccia o no, a volte un ragazzo di 16 anni deve essere lasciato libero di sbagliare e di pagarne le conseguenze. Cercare di salvarlo è dovere morale ed è un dovere cercare di salvarlo trovando la soluzione migliore, perché riteniamo che ce ne siano di soluzioni, ma sembra che i giudici ne conoscano una sola: togliere i figli ai genitori.
Il più grande fallimento delle istituzioni (giudici, assistenti sociali e psicologi) è togliere un figlio ai genitori.
Chiunque pensa di avere il potere di poter togliere un figlio ai genitori è: megalomane, impreparato, incompetente e soprattutto non conosce la psiche di un bambino. I figli non andrebbero mai tolti ai genitori. Le istituzioni dovrebbero aiutare una famiglia che non è in grado di gestire il figlio, dovrebbe fare da tutor alla famiglia. Per togliere un figlio ad un genitore bisognerebbe che quel genitore si sia macchiato di atti abominevoli e che non voglia fare niente per cambiare.
Se i giudici si fermassero ad ascoltare un bambino capirebbero una cosa semplicissima: solo se un bambino vuole andare via da uno o da entrambe i genitori, possono prendere in considerazione l’ipotesi.
Sappiate che nel 90% dei casi, il desiderio di un bambino di età inferiore ai dieci anni, che ha subito abusi sessuali da parte del padre, non è: non voglio più vedere mio padre, ma: voglio che mio padre non mi faccia più quelle cose.
I bambini si tolgono con troppa facilità alle famiglie.
Un giudice che emana una sentenza di allontanamento di un bambino dalla sua famiglia è identico ad un giudice che emana la sentenza della pena di morte, un giudice che emana la sentenza della pena di morte è un assassino. A voi il sillogismo.
Il trauma subito dall’allontanamento dalla famiglia, è per il bambino il più terribile di qualsiasi altro.
Cara Presidente del Tribunale dei Minori di Roma… rifletta… o meglio, risentiamoci tra due anni quando il ragazzo sarà diventato maggiorenne, e saremo felici di ammettere di aver sbagliato.
Claudio Cutolo Educatore Comportamentale/Musicoterapista lunga esperienza con i minori a rischio.
Roberta Improta Insegnante di scuola dell’infanzia in zone disagiate della provincia di Napoli.